La criopreservazione sta aprendo nuove, seppure fantascientifiche, prospettive  intorno all’idea, tanto cara all’uomo, dell’immortalità.

La crionica, anche nota come ibernazione umana o biostasi, è la pratica di preservare a basse temperature il corpo di pazienti terminali, dopo la morte legale, nella speranza che future tecnologie ne permettano un giorno il ritorno in vita.
Si tratta di una pratica molto costosa e attualmente non supportata tecnicamente ma che comunque sta ottenendo un discreto successo, tanto che ad oggi la Alcor Life Extention Foundation, una delle due principali organizzazioni che si occupano di crionica, ha congelato di recente il suo 134esimo paziente, un particolare paziente, perché si tratta di una bambina di soli due anni e mezzo, Matheryn Naovaratpong affetta da ependiloblastoma, un tumore cerebrale inguaribile che ha spinto i genitori ad affidarne le spoglie all’organizzazione Americana per tentare la criopreservazione.

La procedura per l’ibernazione di un paziente deve necessariamente avvenire negli Stati Uniti, perché sia in Italia che nel resto d’Europa non esistono organizzazioni crioniche, dunque la pratica  inizia di solito  nella sala di rianimazione di un ospedale americano, dove il paziente è in fin di vita per una grave malattia.

Subito dopo l’arresto cardiaco, un medico certifica la morte legale, quindi, viene applicato al paziente un apparecchio cardio-polmonare meccanico che, comprimendo ritmicamente il torace, assicura la ventilazione dei polmoni ed un continuo flusso di sangue al cervello. Contemporaneamente viene erogato ossigeno. Entro 2 minuti vengono somministrati, per endovena, vari farmaci per ridurre i danni dell’episodio ischemico e della successiva riperfusione e cioè: anticoagulanti come l’eparina e la streptokinasi, per inibire la formazione di coaguli di sangue, particolarmente nel microcircolo cerebrale, il metilprednisolone e la clorpromazina, per stabilizzare le membrane cellulari, il mannitolo ed il destrano 40, per ridurre l’edema, il calcio-bloccante  nimodipina, l’epinefrina, per migliorare la perfusione e la pressione del sangue, la deferoxamina, per ridurre i danni da radicali liberi, il sodio citrato, per ridurre i danni da riperfusione cerebrale, il potassio cloruro, per ridurre il metabolismo cerebrale, il metubine iodite, per inibire il brivido, THAM, antibiotici a largo spettro, inoltre viene somministrato, mediante sondino gastrico, del malox per prevenire la comparsa (per effetto dell’ipotermia profonda indotta) di ulcere gastriche emorragiche.

Un procedimento complesso che ha fondamenti soltanto su ipotesi mai confermate dalla scienza e che per il momento va a scontrasi con l’incapacità della scienza di invertire il processo di crioconservazione. Dunque la procedura è composta da due parti, delle quali al momento se ne conosce solo una. Se la biostasi può mantenere inalterato un paziente per anni, allora le tecniche future dovranno includere anche dei sofisticati sistemi di riparazione cellulare per tanto il successo dell’operazione sarà effettivo  solo alla luce delle abilità della futura medicina, proiettata verso la prospettiva di immortalità.
Dunque in uno scenario in cui il lutto è descritto come speranza e la scienza una religione la medicina del futuro dovrà comunque capire come come curare l’ependiloblastoma e altre inguaribili malattie prima di poter dare la sua seconda possibilità alla piccola  Matheryn Naovaratpong e a tutti coloro che hanno scelto di credere nel futuro.


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