Padova, 20 giugno 2018. Di Marianna Martini*
“E’ partito per un viaggio” oppure “Si è addormentato”.
Come possiamo spiegare la morte ai bambini?
Secondo alcuni studiosi il concetto di morte inizia a svilupparsi attorno ai 3 anni ma prima dei 5 anni d’età i bambini vedono la morte come qualcosa di temporaneo e reversibile, paragonabile ad una partenza, ma fonte di forte angoscia in quanto momento comunque di separazione. Dai 6 anni i bambini mostrano di avere un’idea più realistica della morte, ma non sono ancora in grado di capire e riconoscere le loro emozioni. Solo a partire dagli 11 anni si avvicinano sempre più ad un concetto realistico di morte come condizione irreversibile e cessazione delle funzioni vitali, motivo per cui è necessario trattare i ragazzini come adulti, anche se nel periodo della preadolescenza (tra i 12 e 13 anni) si vive la morte come una sfida di cui prendersi gioco, mettendo in atto comportamenti spesso rischiosi e gesti volti a deriderla.
Questo excursus ci aiuta a capire come, ai bambini, servano processi di elaborazione e reintegrazione più complessi che per l’adulto in quanto si trovano per la prima volta ad affrontare il contatto con la morte e la perdita definitiva di una persona per loro importante e perdono un supporto essenziale e un sostegno identifìcatorio, necessario per il loro processo di crescita.
La loro risposta ad un evento luttuoso dipende, quindi, da molteplici fattori, quali:
– Caratteristiche personali dei bambini (età, grado di maturazione mentale ed emozionale)
– La qualità e l’intensità della relazione e del legame con la persona deceduta
– Le risorse della famiglia (capacità comunicative, contenitive ed elaborative)
– Le risorse dell’ambiente sociale, la partecipazione nella cura della persona malata e nella condivisione del dolore e del ricordo della persona scomparsa, la possibilità di continuare la vita abituale di ogni giorno
Cosa fare dunque?
– Essere sinceri. Evitate l’uso di eufemismi per esempio dicendo loro che qualcuno si è addormentato o sta partendo per un viaggio. Frasi di questo tipo attivano nei bambini l’aspettativa di un ritorno, sviluppando un senso di abbandono quando lo stesso non succede.
– Presentare le informazioni in un modo in cui il bambino possa capirle, utilizzando termini semplici, chiari, comprensibili e adeguati al loro livello di sviluppo.
– Essere diretti ma non brutali, lasciando il tempo necessario per assimilare le informazioni e chiarire tutti i possibili dubbi.
– Essere pazienti, disponibili per tutto il tempo necessario. Ascoltateli e rispondete alle loro domande. Consentite loro di assorbire quello che state dicendo.
– Fate loro sapere che le persone soffrono in modo diverso e che non c’è un solo modo per esprimere il proprio dolore: si può piangere, arrabbiarsi o semplicemente rimanere in silenzio.
– Preparateli e istruiteli su cosa fare e cosa aspettarsi: spiegate loro cosa succederà ora, rendeteli partecipi dei rituali socialmente accettati dalla cultura di appartenenza, ad esempio nel momento del funerale o nelle visite al cimitero.
– A seconda dell’età, permettete loro di essere coinvolti in alcuni dei processi decisionali e di pianificazione. Per esempio, permettere ai bambini di decidere se vogliono partecipare alla veglia o al funerale. Prima di prendere qualunque decisione che li veda coinvolti chiedete loro cosa vogliono fare, spiegando loro cosa accadrà.
– Lasciate che i bambini vi vedano piangere: dà loro il permesso di farlo. È fondamentale farli sentire accolti e liberi di esprimere le loro emozioni, come noi possiamo esprimere le nostre. Evitate frasi come: “I maschi non piangono”, “Non fare la femminuccia” e altre frasi dettate da stereotipi dovuti al genere di appartenenza. Riconoscere ed esprimere le proprie emozioni denota una maturità e implica un adeguato sviluppo dell’empatia, come capacità di sintonizzarsi con l’altro e le sue emozioni.
Dopo aver appurato che i bambini sono esseri umani e pensanti, e per questo non devono essere esclusi o isolati, ricordiamoci che i bambini hanno una fervida immaginazione e sono molto sensibili ai cambiamenti dell’ambiente circostante. Il sentirsi esclusi dai “non detti” all’interno del nucleo familiare porta a sviluppare forti sensi di colpa (“Non mi dicono niente perché sono stato io), soprattutto in bambini con età inferiore ai 10 anni, in cui il concetto di morte non è ancora sufficientemente definito come evento inevitabile nel corso della vita. Allo stesso modo risulta disfunzionale il costringere i bambini a “stare nel dolore”: fino alla preadolescenza i bambini non tollerano a lungo il dolore e necessitano di distrarsi. Sgridarli o limitarli nel gioco li fa sentire inadeguati e fa scaturire così nuovi sensi di colpa.
In conclusione, dunque, è fondamentale parlare ai bambini della morte, anche quando questa non è accaduta nel nucleo familiare ristretto, partendo, ad esempio, dalla morte di un animale domestico e aiutandosi con supporti audio e video adeguati all’età (utilizzando canzoni o cartoni animati), ricordandosi che i bambini hanno tempi di accettazione diversi dagli adulti e diverse capacità di assorbimento, sono curiosi, ma vanno accompagnati nella ricerca di risposte, soprattutto nell’attuale era digitale dove ogni informazione, anche quelle non corrette, sono a portata di click.
“I bambini mostrano una certa forza e resistenza nel lottare contro le difficoltà e le tragedie della propria vita e bisogna aver fiducia nelle loro possibilità di partecipazione e recupero, nel loro coraggio e creatività e perfino nel loro realismo e senso pratico” DeSpelder e Strickland.
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*Marianna Martini è Psicologa laureata all’Università degli Studi di Padova in Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione e Psicologia Cognitiva Applicata, è regolarmente iscritta all’Albo dell’Ordine degli psicologi del Veneto. Si occupa di gestione delle emozioni sia in età evolutiva che adulta con l’attuazione di percorsi individuali e di gruppo, collaborando con il comune di Padova per l’intervento nelle scuole. Segue privatamente bambini e ragazzi con disturbi specifici dell’apprendimento e disturbi dell’attenzione e iperattività, oltre che con bisogni educativi speciali. Dal 2016 è referente del progetto scuola di Telefono Azzurro per il gruppo di Padova con cui svolge attività di prevenzione (laboratori ed eventi informativi) sui temi del bullismo e sull’uso consapevole di internet. Dal 2018 è fautrice del progetto Amori 4.0 che si occupa di dipendenza affettiva, relazioni di coppia e amore digitale oltre le stereotipie di genere.
Svolge, inoltre, attività di supporto in caso di malattie oncologiche e/o degenerative, di sostegno nell’elaborazione di una perdita o un lutto con l’attuazione di gruppi di auto aiuto e seminari per diffondere la cultura del lutto. Organizza eventi volti a coniugare il mondo del web a quello, ancor poco raccontato, della morte e della perdita.
Ha pubblicato, in collaborazione con altri colleghi, un eBook dal titolo “Un Fiore Che Sboccia. Le basi scientifiche dell’educazione all’affettività e alla sessualità” [link] e il volume “Vivere bene si puó” (casa editrice Effatà).
Contatti: marianna.martini.2@gmail.com – cell: 3484922148
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