In questo articolo parleremo del lavoro della psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross, considerata la fondatrice della psicotanatologia, il settore utile a dare sostegno psicologico davanti alla morte, sia ai pazienti terminali che ai loro parenti.
La dottoressa Kübler-Ross, è diventata celebre grazie alla suo trattato La morte e il morire pubblicato nel 1969 in cui definisce i cinque stadi di reazione alla prognosi mortale: rifiuto rabbia, negoziazione, depressione, accettazione.
Il suo modello a cinque fasi, rappresenta uno strumento che permette di capire le dinamiche mentali più frequenti della persona a cui è stata diagnosticata una malattia terminale, ma gli psicoterapeuti lo ritengono un valido aiuto anche per chi è in fase di di elaborazione del lutto.
Nella ricerca non viene affrontato il decadimento fisico ma viene analizzato il percorso di una persona adulta che affronta una malattia minacciosa per la sua vita, attraversando un ricovero ospedaliero con fasi di malessere intervallati da stati remissivi dove la speranza si miscela con i vari stadi di consapevolezza sulla malattia.
La dottoressa Kübler-Ross in questo libro ci spiega come la durata o addirittura l’assenza delle varie fasi dipendono dalla persona. Il malato può compiere l’intero percorso nell’arco di poche settimane o di qualche anno e spesso non va oltre il rifiuto e la rabbia.
Inizieremo con il descrivere le fasi iniziali rispettando il naturale susseguirsi suggerito dall’autrice, sottolineando però che i vari stadi possono avere insorgenze diverse.
Fase della negazione o del rifiuto: in questo passaggio il malato è totalmente preda dell’inconscio che, come ovvio, vede la morte come un fatto cattivo, spaventoso e distruttivo, a cui va contrapposta una difesa, armata di negazione dell’evidenza oppure della convinzione che la diagnosi sia sbagliata, addirittura, in alcuni casi, si pensa che la malattia diagnosticata sia guaribile.
Il rifiuto della malattia per i parenti è uno stato che non costituisce un problema, anzi normalmente è ben accolto perché aiuta il lavoro di sostegno e a volte va in ausilio alla decisione di nascondere al malato la verità, scelta opinabile, in quanto si preclude al malato le fasi di preparazione all’inevitabile.
Fase della rabbia: dopo la negazione iniziano a manifestarsi emozioni forti quali rabbia e paura, che esplodono in tutte le direzioni, investendo i familiari, il personale ospedaliero, Dio. Una tipica domanda è “perché proprio a me?”. È una fase molto delicata dell’iter psicologico e relazionale del paziente. Rappresenta un momento critico che può essere sia il momento di massima richiesta di aiuto, ma anche il momento del rifiuto, della chiusura e del ritiro in sé.
Morire in collera è probabilmente più doloroso, per sé e per chi resta, che fermarsi alla fase del rifiuto. Significa fallire una pacificazione con se stessi e con glia altri e, se si è credenti, con Dio, lasciando ai propri cari una strada difficile per elaborare il lutto.
Spesso le persone che non riescono a valicare la fase della rabbia sono quelle che nel vivere la loro esistenza senza malattia hanno avuto l’illusione del controllo totale della propria persona. Individui volitivi, che hanno avuto successo, prestigio che hanno la sensazione che gli sia stato rubato il futuro.
La fase di ribellione sarà tanto più probabile quanto più siamo insoddisfatti e pieni di “questioni non risolte” dunque per dare sostegno ad una persona nella fase della collera è necessario accogliere la protesta e cercare di capire quali problemi non risolti la irritano, aprendo la strada alla negoziazione, depressione, accettazione.
Per chi vuole approfondire l’argomento, segnaliamo che le riflessioni di questo post sono state tratte dal libro la psichiatra Elisabeth Kübler-Ross:
La morte e il morire
Editore:Cittadella
Collana:Psicoguide
Data uscita:01/01/2013
Pagine:328
EAN:9788830802476