Da Francesco Campione, Lutto e desiderio. Teoria e clinica del lutto, Armando Editore, Roma, 2012, p. 28
[…] Si dice che superare il lutto significhi ritornare a vivere, come se, appunto, nell’elaborazione del lutto si trattasse ancora una volta di sconfiggere la morte che vorrebbe trascinarci con sé («Non posso più vivere, ora che non c’è più!»).
E ciò sembra confermato dalle descrizioni della condizione esistenziale delle persone in tutto, le quali, una volta superata la fase in cui non si vuole quasi ammettere la morte subita, si deprimono, si disperano, non possono continuare a vivere, rischiano di morire.
Si dice quindi, con Freud, che la “malinconia” derivante dal lutto si supera quando l’oggetto d’amore perduto viene introiettato e “riparato”, tanto che ora vive dentro di noi, e la nostra energia libidica può essere liberata e messa a disposizione per nuovi investimenti affettivi esterni.
Detto in altri termini, la vita può ancora vincere contro la morte perché l’individuo ha la possibilità (spesso con un giusto aiuto) di trasformare un’assenza esterna in una presenza interna. […]
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