A tutti prima o poi sarà capitato di fantasticare sulla propria morte e, spingendo la fantasia un po’ più in là, molti hanno immaginato addirittura la propria cerimonia funebre.
Questo gioco un po’ bizzarro nasconde in sé molti riflessioni. Una su tutte nasce dalla domanda, perché la mente deriva verso argomenti così tristi? La risposta che abbiamo cercato, è, se vogliamo, un po’ banale, ma plausibile, riguarda la paura di morire, che attraverso fantasticherie e visioni viene esorcizzata.
Ci si abbandona a questa fantasia spinti da un misto di masochismo e di narcisismo. Si soffre nell’immaginare lo strazio dei parenti, il dolore degli amici, e per i più egocentrici lo sgomento di folle commosse accorse a darci l’estremo tributo, così da avere la sensazione di poter dirigere e decidere per la nostra dipartita.
Un esempio eclatante di come si può giocare con la propria morte è lo sketch: Morto Troisi, viva Troisi!, girato e sceneggiato dallo stesso comico napoletano che mette in scena un’edizione straordinaria del telegiornale che annuncia la morte di Troisi. Nella camera ardente, il defunto riceve l’estremo saluto di numerosi personaggi reali o immaginari noti al grande pubblico. Un modo che l’attore sceglie per allontanare la paura dellla malattia, già presenza importante nella sua vita.
Ma immaginare la propria morte e dunque il proprio funerale è anche, per chi considera il morire solo una trasformazione, un modo per prepararsi a qualcosa che è nel processo naturale della vita, dunque i riti e le cerimonie non sono altro che una norma sociale che non può fare paura, tanto meno se immaginata.
Di contro c’è chi vede la morte come qualcosa di ineluttabile che annulla l’esistenza e pensarci corrode la vita stessa dunque è abbastanza prudente esistere il più possibile lasciando a chi resta l’incombenza di occuparsi del nostro ricordo, materialmente e mentalmente, senza preoccuparsi di come sarà e chi ci ricorderà.